Arrivo a Zagabria verso le 10.00, ho preso comunque una stanza in albergo per riposare un po’ durante la giornata, anche se ripartirò in serata per Sarajevo.
L’albergo è a poche centinaia di metri dalla stazione dei bus, niente di che ma posto in posizione strategica per i miei piani.
Voglio infatti visitare Novi Zagreb, la parte nuova, quella socialista, di Zagabria, e un luogo in particolare, il quartiere di Travno dove si trova il Mamutica, il Mammut, un enorme edificio che ricorda quelli delle nostre periferie, per fare un esempio romano, Corviale, ma che ha avuto un destino differente, anche se nel piccolo microcosmo di quel palazzo quartiere, problematiche criminali non sono mancate.
Comunque sia dopo una doccia e aver ricaricato i cellulari mi metto in cammino.
Prendo uno dei tanti vialoni a più corsie che portano verso la periferia. Si attraversano spazi immensi e quartieri tutti simili agli altri nelle periferie ex comuniste, ma bisogna avere l’occhio attento per cogliere le peculiarità che nascondono questi che potremmo considerare “quartieri dormitorio“.
Così ecco che nel cammino alcuni murales degli ultrà della Dinamo Zagreb ci riportano al recente drammatico passato delle guerre degli anni novanta. Molti murales ricordano quanto successo nella zona di Vukovar.
Non è questo il luogo per parlare di quanto accaduto nella Krajna e di come quanto accaduto venga ricostruito con la veste del nazionalismo sia da parte croata che serba. In questo momento sono un viaggiatore, un cronista, comunque esterno a quanto accaduto e per entrare nel merito ci sarebbe bisogno di approfondimenti che qui non possono trovare luogo.
Il cammino è lungo ma finalmente dopo essermi perso all’incrocio tra due viali arrivo alla prima destinazione del mio viaggio, Mamutica.
Il palazzo è stato costruito nel 1974 su progetto di Đuro Mirković. Nei suoi 240 metri di larghezza e 70 di altezza (con 20 piani), conta 1 212 appartamenti in cui abitano circa 5 000 persone. Il condominio è noto per varie ragioni. Nel tempo, è stato lo scenario di svariati episodi di cronaca nera, tra cui violenze e stupri negli ascensori, tanto da essere diventato lo scenario dell’omonima serie criminale di 20 episodi trasmessa dal 2009 sulla HTR.
L’edificio è anche oggetto d’attenzione degli ingegneri, perché soggetto a uno sprofondamento nel sottosuolo di 2-3 millimetri al mese, un fenomeno che richiede continui risanamenti delle fondazioni per un costo di circa 10 milioni di kune (ossia oltre 1 milione di Euro), sostenuto sia dal comune sia dai residenti. D’altro canto, l’amministrazione ha tranquillizzato i suoi abitanti sottolineando che il palazzo, costruito dall’esercito durante il titoismo, sia di “ottima fattura” in quanto all’epoca per i soldati veniva dato il meglio. A parte questi problemi, il palazzo è ben mantenuto ed è dotato di appartamenti confortevoli e assolutamente nella media di altri condomini.
Faccio alcune foto al mastodonte urbanistico, ne percorro il perimetro, prima di entrare nel cuore di quello che è un vero e proprio “paese”, la piazza che divide i due corpi dell’edificio e in cui si possono trovare tre bar, una pizzeria, due supermercati e un paio di negozi di vestiti.
Corviale doveva avere lo stesso sviluppo, quelli che oggi chiamiamo ponti dovevano ospitare i negozi e i servizi, ma a differenza del Mamutica non è andata così.
Neanche Mamutica come accennato, è stata ed è esente da problematiche sociali come emerge da una nota serie televisiva croata dal titolo omonimo, che ricorda un po’ la nostra Gomorra. La serie del 2008 girata quasi completamente nel mega condominio segue le gesta di un poliziotto Božidar “Božo” Kovačević, nella sua lotta contro la criminalità. Alcune puntate della serie prodotta per due stagioni nel 2008 e nel 2010 per un totale di 40 puntate posso essere rinvenute su youtube, se vi dovesse venire la curiosità di guardarne alcune scene.
Mi fermo a prendere un caffè al Cafè Mamut, e seguendo un percorso circolare ritorno verso l’albergo, attraversando il cuore di Novi Zagreb.
Cerco invano un ristorante aperto, ma sarà per via della crisi o perché nella zona è davvero difficile trovarli, trovo un ristorante aperto solo a ridosso della stazione dei bus. Si tratta di un ristorante con cucina tradizionale balcanica, ci voleva proprio, mangio una pljeskavica, fatta con un misto di carni (due o più fra agnello, manzo, maiale e vitello) grigliate con cipolle. È fatta dallo stesso impasto che si prepara per i ćevapčići. Può essere servita da sola o con dei contorni, oppure, come nel mio caso in una pita, condita con kaymak. E’ il pranzo-cena della giornata, penso di essermelo meritato dopo 25 km a piedi.
Rientro in albergo mi faccio un’altra doccia e cerco di non addormentarmi mentre chiudo gli occhi per riposare un po’.
Verso le 20.30 con ampio anticipo come faccio sempre, arrivo alla stazione del bus, il tempo di comprare un paio di bottiglie d’acqua e di leggere qualcosa e il bus arriva.
Sarajevo, non speravo di tornarci così presto, questo viaggio è una specie di miracolo.
Al confine, oltre al documento d’identità, mi chiedono per la prima volta il green pass.
Tutto ok anche se le procedure sono lunghissime, si riparte.
Rifletto sul tempo pandemico che stiamo vivendo.
Ho attraversato Slovenia e Croazia e diciamo che dall’”habitus” delle persone sembrerebbe quasi non sia accaduto nulla. Pochissimi portano la mascherina anche nei luoghi chiusi e nei bus, nonostante sia obbligatoria, e i controlli sono pressoché inesistenti.
Non la portano neppure gli autisti dei bus, e anche io dopo molte ore devo ammettere che faccio fatica a tenerla e in alcuni casi la tolgo per qualche minuto. E’ stato un viaggio lungo 12 ore di bus da Roma a Zagabria e ora 8 ore da Zagabria a Sarajevo.
Arrivo nella capitale bosniaca verso le 5.15 ben un’ora prima del previsto, meno male che ho avvisato l’hotel che avevo necessità di avere a disposizione la stanza per le prime ore del mattino.
Oggi è Bajram una delle feste più importanti dell’Islam, sono curioso di vedere come la città vivrà questa giornata di festa.
Salgo sulla collina costeggiando la linea ferroviaria e arrivo all’Hotel Grand, un vecchio hotel “Old Communist Style” ma che non ti delude mai.
Sono stato qui tre volte. La prima volta dimenticai due camicie. Un anno dopo tornai e solo per curiosità chiesi se avessero trovato delle camicie quasi un anno prima in una delle stanze. Pensavo mi ridessero in faccia e invece, una delle receptionist mi porge un pacco, e sorpresa delle soprese, dentro ci sono le mie due camicie. Lavate e stirate.
Incredibile!
E anche oggi l’estrema cortesia degli addetti dell’Hotel Grand viene confermata. Non faccio in tempo ad arrivare al bancone che il receptionist mi da subito la chiave, augurandomi buon riposo e ricordandomi che la colazione è servita dalle 7 alle 10. La colazione non sarebbe compresa, è in più, visto che sarei dovuto entrare in possesso della camera dopo le 12. Come scoprirò al check out, quella colazione era una sorta di regalo di benvenuto visto che non l’ho pagata.
Grazie Hotel Grand, sempre umile ma onesto come direbbe Troisi.