I giovani Irene Hosmer e Andrea Giubbetto mi hanno intervistato per la rivista Teens di Città Nuova sui conflitti etnici degli ultimi tempi.
Nuovi scenari di rivolta, l’eredità dei populismi e delle ingiustizie sociali nella storia.
Durante questo ultimo anno scendere in piazza e manifestare attivamente, come sappiamo, non è stato possibile. Ci sono stati metodi di rivolta alternativi?
I grandi spazi sono sempre stati luoghi deputati alle manifestazioni di protesta e di sensibilizzazione nei confronti di problematiche che coinvolgono quasi sempre l’intero mondo. Si sono trovati nuovi “luoghi” da abitare nella rete, che in molti casi già esistevano, ad esempio le petizioni online come quelle proposte da Change.org. Si sono andati ad occupare in alcuni casi luoghi simbolo della protesta in modo virtuale finendo per rendere quello che è nel web più reale del reale stesso. In generale, penso che non ci sia stata, almeno in alcuni Paesi, una vera e propria comprensione del diritto a manifestare, nonostante quello che talvolta si legge sui social; abbiamo trovato nuove strade e rivisto quelle tradizionali con più o meno successo e si tratta di strumenti utili anche per il futuro prossimo.
Quali sono le motivazioni che solitamente portano ad un conflitto etnico? Quanto pesano gli interessi economici su queste guerre?
Se si guarda ai conflitti attivi in questo momento, ad esempio a quanto accade nel Nagorno-Karabach, più che una base etnica vedo altre motivazioni sociali, economiche, culturali e religiose. Non mi piace la parola “etnico”, perché spesso viene utilizzata per coprire altre ragioni alla base dei conflitti. Faccio un esempio di un conflitto che conosco molto bene: quello che ha insanguinato i Balcani negli anni novanta. Partendo dall’analisi di quanto avvenuto in Bosnia e Croazia in quegli anni, fino ad arrivare ai conflitti di oggi, vedo alla base di tutto i giochi politici ed economici delle cosiddette “potenze regionali”: Se si guarda al Nagorno-Karabach ad esempio, sono evidenti le spinte che Turchia e Russia hanno dato al conflitto, giocando spesso su presunte basi religiose, gli Armeni sono ortodossi mentre gli Azeri sono musulmani e gli interessi purtroppo anche in questo caso sembrano essere puramente economici e strategici.
Ai lettori di Teens, quale riflessione vuole lasciare per il nuovo anno, considerato il periodo di crisi che stiamo vivendo?
Prima di tutto, di liberarci dal virus in senso fisico, anche se ci vorrà pazienza e fede. Ma solo liberandoci dal “male fisico” si potranno affrontare le sfide drammatiche che l’assenza del virus ci porrà di fronte. Questo perché, al momento, tramortiti dalle cifre del contagio, non ci accorgiamo che il mondo nel bene e nel male sta andando avanti. Ad esempio, i migranti sono i grandi dimenticati, sono tra quelli che ci ritroveremo di fronte appena risvegliati dal nostro incubo personale e di ciò ha parlato il Report 2020 sul Diritto d’Asilo promosso dalla Fondazione Migrantes, di cui ho curato il capitolo sulla Rotta bosniaca. Vi auguro di essere aperti all’altro, solidali, perché solo così saremo in grado di essere di nuovo liberi. Come scrivo spesso “Non ci si salva da soli” e in questo credo fortemente. Per ultimo, mi auguro e vi auguro un abbraccio. Abbracciando chi amate abbracciate idealmente il mondo, anche chi è lontano o chi non si può più abbracciare, e lasciate posto alla speranza.