Dopo un paio d’ore di sonno a tratti e dopo una ricca colazione decido di mettermi in moto, non riesco a mai a dormire molto, infatti, dopo un lungo viaggio notturno.
Passo accanto alla Stazione di Sarajevo che dista poche centinaia di metri dall’Hotel Grand, un edificio storico, ma la stazione è sempre più vuota al momento solo cinque treni al giorno giungono e partono da Sarajevo con destinazione Zenica e Mostar principalmente. C’era un treno giornaliero per Bihac, ma al momento è sopresso, perchè era il treno dei disperati che portavano i migranti verso la frontiera con la Croazia, nel drammatico attraversamento della frontiera che in modo sarcastico chiamano loro stessi, The Game, il gioco.
Un paio di anni fa dalla Stazione di Sarajevo è iniziato il mio viaggio verso la frontiera e il campo di Vucjak, e in foto vedete i volti di alcuni uomini che si avviano sulla strada della disperanza.
A piedi percorrendo la Zmaja od Bosne, la via dei cecchini, dove si trova il famigerato edificio dell’Holiday Inn e l’edificio del Parlamento ricostruito, nonché il museo storico di Bosnia che porta ancora le tracce dei proiettili come una sorta di memento, mi avvio verso il centro.
E’ tutto chiuso e c’è un silenzio irreale, non sono aperti neanche i chioschi che vendono i giornali o le sigarette, alimento fondamentale dell’anima balcanica.
E’ davvero il dì di festa, festa vera come da noi a Natale e il Primo dell’anno.
Ovunque si possono leggere messaggi di auguri per il Bajram.
Gradualmente la città sembra svegliarsi, le famiglie sono vestite a festa, le donne portano quasi tutte il velo, alcune anche il burqa. Dai tratti somatici mi sembra di vedere molte famiglie arabe, che in effetti sono una presenza rilevante come mi confermerà il mio amico Ado nei giorni successivi.
L’islamizzazione di Sarajevo sembra proseguire a ritmi forzati, ma è davvero così? Di questo e di altro parlerò con la mia amica Amra nel pomeriggio.
Faccio una lunga passeggiata nella Carsija
e visito alcuni siti posti dall’altro lato della Milijacka che non avevo visitato in precedenza, come ad esempio la ricostruita moschea adiacente il sito archeologico di Atmejdan.
Molti ristoranti sono chiusi ma sono certo di trovare una buona scelta nel cuore turco della città.
Mi fermo a mangiare ad una delle tante trattorie tradizionali, mangio un piatto leggero a base di verdure e bevo una birra.
Il centro ora è pieno di gente, tutte vestite a festa.
Sarà che è un giorno di festa e che per questa festa sono previste “elemosine” per i poveri, ma sono tantissime le donne di età varia che chiedono l’elemosina nelle strade.
Dopo pranzo incontro Amra al Cafè Tito alle spalle del museo storico di Bosnia.
Il Cafè Tito è un must per noi jugonostalgici, all’interno si possono trovare memorabilia legate al Maresciallo e alla storia della Ex Jugoslavia. I bagni, poi, sono tappezzati dalle pagine di un’altra icona della ex Jugo, inaspettata per chi non conosce la storia del costume jugoslavo, il fumetto Alan Ford e il Gruppo TNT che è divenuto un must negli anni settanta in Jugoslavia tradotto in tutte le lingue della Federazione.
E’ sempre bello rivedere vecchi amici. Con Amra, che ha quasi la metà dei miei anni, ci siamo conosciuti al Pravo Lijudski Festival qualche anno fa e ci siamo da subito trovati simpatici. Devo dire che faccio sempre un po’ fatica a fare amicizia, soprattutto in paesi di cui non padroneggio la lingua e la mia timidezza mi blocca molto. Fui sorpreso di essere avvicinato da questa ragazza che mi chiedeva chi fossi e mi invitava a vedere il suo cortometraggio. Che mi avesse preso per un Vip? Scherzi a parte da allora siamo diventati amici e quando possibile ci incontriamo sempre a Sarajevo.
Passiamo un’ora insieme chiacchierando del più e del meno delle nostre vite, i progetti, immancabilmente del Covid, di Srebrenica e della memoria dei fatti avvenuti in Bosnia negli anni novanta.
La accompagno verso il museo dove la verrà a prendere il suo ragazzo. In serata andranno a casa dei genitori del suo ragazzo per festeggiare il Bajram ed è prevista una grande mangiata.
Mentre mi avvio verso l’Hotel Grand per riposare un po’, ripenso a quanto ha detto Amra riguardo a Srebrenica.
Nei giorni precedenti si è tenuto il Warm Festival, un altro piccolo grande festival sui diritti umani a cui avevo partecipato qualche anno fa. Nell’ambito del festival è stato presentato un libro su Srebrenica. Amra si dice stanca di come viene ancora proposto il tema, non ha visto, ad esempio Quo Vadis Aida, non riesce a vederlo.
Concordo con lei che a distanza di 26 anni si deve fare di più, andare oltre, almeno chi può, chi questo dolore non lo ha sofferto direttamente.
Ed evitare il linguaggio dell’odio che spesso e volentieri ancora oggi da una parte e dall’altra permea i discorsi ufficiali e non.
E’ tempo di cercare di ricostruire e forse ci riusciranno le nuove generazioni.
Amra avverte un evidente stacco tra ciò che dicono e pensano i politici e ciò che pensa la gente nella realtà quotidiana. Forse la gente di Bosnia è stanca di guerra, non i politici che ancora ne cavalcano le onde.
Si dovrebbe porre l’attenzione su quello che le differenti comunità stanno facendo per superare gli ostacoli più che continuare a chiedersi se e come è successo qualcosa a Srebrenica. Perché è assodato che a Srebrenica è stato commesso un genocidio e questo non si può e non si deve discutere.
Si fa sera, torno in albergo per una call, dopo due ore di discussioni con altri colleghi antropologi la stanchezza della giornata inizia a farsi sentire, cerco un ristorante aperto nelle vicinanze dell’albergo ma è tutto chiuso e allora vado al vicino distributore di benzina compro un pacco di patatine e uno di noccioline e mi preparo un aperitivo faidate approfittando dell’ariosa terrazza dell’Hotel Grand che ha un fornitissimo bar aperto fino alle 22.
Non arrivo neanche alle 21 in realtà, praticamente tocco il letto e svengo dal sonno.