Ubla è una piccola località della regione slovacca di Snina, situata a circa un chilometro e mezzo dal confine e dalla piccola prima città sul suolo ucraino di Malyi Bereznyi. Ubla ha una popolazione di circa 796 persone, leggermente più grande del villaggio polacco di Przewodów dove, a metà ottobre un missile è caduto (accidentalmente?) uccidendo un paio di inermi contadini polacchi.
Qui a Ubla il confine si percepisce in tante piccole cose, la presenza delle volanti della polizia slovacca sulle strade, le macchine in transito verso il confine, quasi tutte con targa ucraina, ma più di tutto, a parlare di questa guerra, è il silenzio rotto solo dallo sferragliare di treni che attraversano la stazione di Veliki Bereznyi.
Quando arrivo al Motel è già buio, sono le 17.30 ma in questi paesini persi tra le montagne la notte arriva presto e si porta con sé i rumori e i suoni della vita quotidiana.
Per vivere in queste località vissute e abitate da poche anime bisogna esserci nati, oppure avere la necessità di allontanarsi da tutto. Penso spesso che siano i luoghi ideali per scrivere un romanzo o per… ammazzare qualcuno.
Il Motorest Milka è posizionato in posizione strategica, ad appena un chilometro e poco più dal confine. E’ un piccolo Motel a gestione familiare, da sempre punto di transito e di passaggio verso l’Ucraina e le località montane del Parco nazionale di Polonyni dove si trova il Krzemienec trojstiyk granic, il punto geografico dove Slovacchia, Ucraina e Polonia s’incontrano.
Quando arrivo nel bar ci sono due uomini, la ragazza che sta dietro il bancone del bar, che funge anche da reception, in qualche modo mi spiega dov’è la mia stanza e alla fine mi ci accompagna. Le chiedo nel mio basico slovacco a che ora chiude il ristorante. Mi dice alle 7.00, ma forse se vado prima è anche meglio, mi sembra di comprendere dalla sua mimica facciale. Per noi occidentali un orario inconsueto, usuale e quotidiano invece da queste parti.
La camera è molto ampia e curata, con mobili in legno, pulita e con tutti gli optional, compreso il bollitore per il tè o il caffe’ liofilizzato che ho iniziato ad apprezzare sempre di più viaggiando in Nord ed Est Europa. Ci dovrebbe essere sempre un bollitore anche nei nostri hotel.
Alle 18.45 scendo al ristorante, oltre a me c’è una signora anziana, forse parente della famiglia che gestisce il Motel, un uomo che non riesco a capire se sia slovacco o meno, e una coppia di ucraini, come mi confermerà la targa del minivan parcheggiato fuori.
La madre della ragazza che mi ha accolto mi porge il menù e me lo traduce con l’applicazione Lens, prendo formaggio fritto, tipo mozzarella in carrozza per intenderci, con patatine fritte, quasi un must, come decisamente è un must la zuppa in apertura del pranzo o della cena.
Mi guardo intorno, mi sento vicino al dramma e lo sento nel mio cuore e nella mia anima, e nel contrasto con il silenzio di pace che colma la sera di Ubla.
Dopo cena, siccome è ancora presto per dormire, decido di fare una passeggiata verso il confine nel freddo e nel silenzio. Provo a camminare per una centinaia di metri ma i cani iniziano a latrare rompendo il silenzio, non mi sento sicuro, per cui prendo la macchina e faccio un pezzo di tragitto. Arrivato ai gabbiotti in cui si trovano i militari, decido di tornare indietro, meglio tornare con la luce del giorno, non saprei come spiegare la mia presenza in quell’orario inusuale.
La colazione sarà possibile solo dalle 9.00 e allora già sveglio alle 7.00 di mattina, inizio la mia passeggiata verso il posto di confine. C’è abbastanza movimento sulla strada, minivan, macchine, anche alcuni taxi che sicuramente in questo momento divengono per molti un mezzo di trasporto essenziale per arrivare al confine, magari per attraversarlo a piedi e poi trovare un mezzo che in suolo ucraino porti il rifugiato di ritorno verso i luoghi in cui oggi è possibile di nuovo una vita quasi normale.
Cerco di fare qualche foto e video per documentare la situazione al confine. Ci sono almeno una ventina di macchine in attesa, e i minivan, più alcune persone a piedi.
Ecco proprio sui drivers si sofferma la mia riflessione.
Ma se c’è la leva obbligatoria per i maschi dai 18 ai 65 anni, come fanno i drivers che giornalmente attraversano più volte il confine ad eluderla? La risposta me la da la mia amica Vitalia nel nostro incontro a Bratislava. Alcuni di loro visto il “ruolo sociale” che hanno sono esentati, magari anche perche’ nella stessa famiglia già due o tre sono al fronte e allora si evita di chiamarli. Poi ci sono i casi di chi semplicemente rischia, o i soldati di confine che chiudono un occhio per il bene dei connazionali.
A proposito di come molti uomini cerchino di eludere la leva anche con travestimenti davvero improbabili, potete leggere questo articolo tratto dal sito “Visit Ukraine Today”, che racconta la vita quotidiana di un paese in guerra a volte anche con ironia.
Dopo la colazione mi metto in macchina verso un altro luogo di frontiera Vysne Nemecke, la porta di accesso verso l’importante città ucraina di Uzhgorod.
Poche decine di chilometri per strade secondarie, con due fermate intermedie per visitare le chiese greco cattoliche di San Michele (1730) a Ruska Bystra
e San Michele Arcangelo (1836) a Inovce.
Interamente in legno e con gli interni riccamente istoriati, divenute, nel 2008, patrimonio dell’UNESCO, e finalmente eccomi a Vysne Nemecke verso le 11.30.
Lascio la macchina in una strada secondaria per fare un pezzo a piedi verso il posto di confine, anche per prendere contatto con il quotidiano di questo piccolo paese.
Mi fermo in un piccolo alimentari, che funge anche da bar, uno di quei luoghi incredibili in cui s’incrociano vite, speranze, dolori, amori, posti borderline in cui tutto può accadere, e che nell’Europa dell’est è possibile trovare nei piccoli paesi. Punti di riferimento per i viaggianti sulla rotta verso il proprio destino.
All’interno c’è una ragazza che sta comprando del salame e del prosciutto, la donna dietro il bancone parla e lentamente affetta il salame, vicino a lei la cassa. All’improvviso ho un flash e sorrido tra me e me, sembra il titolo di una canzone dei Pearl Jam: “Elderly Woman behind the counter in a small town”, “una signora anziana dietro la cassa in una piccola città”, provo a rubare una foto, fermando il momento.
Alla fine la ragazza va via e cerco di spiegare alla donna, in slovacco, che vorrei un caffè.
Mi fa segno che c’è la macchinetta automatica, scopro di non avere le monete, cerco di spiegarle che voglio cambiare una banconota, ma inizialmente non riusciamo a comprenderci.
Allora la signora mi dice: “Puoi dirlo in Ucraino”.
Sorrido e le dico nel mio simil slovacco, “non sono ucraino, sono italiano”.
La signora sorride scuotendo il capo e poi comprendo che dice qualcosa del tipo: “Ma cosa ci fa un italiano in un posto come questo?”, e anche in questo caso mi torna in mente una famosa canzone, stavolta spagnola, di Loquillo y Los Trogloditas “Que haces una chica come tu in un sitio como este?”, e mi viene davvero da ridere.
Non è la prima persona che me lo chiede, cosa faccio lì, lo aveva fatto anche la receptionist del Motorest Milka.
Ho la fortuna di avere un appuntamento oggi, si tratta di M. un volontario dell’OIM che lavora da un po’ di tempo nel posto di confine fornendo la prima assistenza, non solo materiale ma anche logistica e giuridica, al fine di orientare i rifugiati nella loro nuova vita.
Chiaramente adesso la situazione è molto tranquilla, non ci sono più le file di disperati che scappavano dalla guerra come abbiamo visto anche sui nostri schermi a marzo, anche se in occasione di attacchi molto violenti in alcune città ucraine il flusso s’intensifica, ma il transito, mi conferma, è costante, e si deve tenere conto dei frontalieri e naturalmente dei camionisti che settimanalmente portano viveri e altri beni in Ucraina.
Ecco un altro punto interessante, i frontalieri?
Come in tutte le zone di confine in tempo di pace è normale il transito di persone che giornalmente si spostano tra le città gemelle a fini lavorativi. Domando a M. come sia cambiata la realtà di queste persone. E’ un dato su cui non sa darmi una risposta essendo il suo contatto quasi esclusivamente con persone che fuggono dalla guerra e vengono da zone diverse dell’Ucraina e non dalla Transcarpazia, ma è un argomento che voglio approfondire con Vitalia, appena possibile.
Mangiamo nel piccolo ristorante ENAR, nell’area di confine appena nascosto dai tendoni della Caritas e delle ONG.
Mi ricorda il bar alla fine del mondo di cui narra Strelecky nel suo omonimo libro.
E’ frequentato per lo più da poliziotti e militari e da volontari delle ONG,
ma non mancano alcuni personaggi liminari come se ne trovano sia in tempo di pace che di guerra, quei personaggi sempre al bordo tra il legale e l’illegale che “facilitano” il trasporto di mezzi e persone, e che in situazioni di crisi, come quella che si sta vivendo sul confine slovacco-ucraino, diventano nel bene e nel male essenziali. E un paio di loro entrano proprio nel momento in cui stiamo assaggiando la classica zuppa, sempre perennemente al telefono in attesa di recuperare anime che cercano “un altro Egitto”.
Saluto M. e porto con me sensazioni ed emozioni che avranno necessità di tempo per essere assorbite ed elaborate. Mentre sono ancora nel ristorante, mi arriva il messaggio del gestore telefonico “Benvenuto in Ucraina…”. Magari fosse così, anche se è vero che praticamente sono a pochi centimetri dal suolo ucraino. Se anche dovessi attraversare questo confine, che senso avrebbe la mia presenza nella città di Uzhgorod? Me lo chiedo mentre dentro di me la voglia di mettere piede in questa terra martoriata è sempre maggiore.
Alla fine mi accontento di guardare Uzhorod quasi da vicino, non è ancora tempo, ma sono certo che ritornerò.
Vitalia mi racconterà qualcosa di Uzhgorod, il capoluogo della Transcarpazia, sua città natale, e di come alcuni segni della damnatio memoriae siano presenti anche nella città. Mi racconta come il monumento ai soldati sovietici che si trovava subito dopo il ponte di accesso alla città, sul fiume Uz, recentemente sia stato rimosso. La notizia è stata riportata anche da alcuni siti web d’informazione, ve ne linko uno solo per mero esempio, solo uno degli ultimi esempi della cancel culture che sta colpendo monumenti e memoriali di vario tipo e orientamento in Europa e non solo, in paesi in guerra e non solo.
Triste ma non inusuale, il processo di rimozione, quindi. Qualche anno fa partecipai ad un interessante convegno a Zagabria dal titolo “Inappropriate Monuments” che proprio su questo s’interrogava.
La riflessione sulla rimozione delle memorie mi porta verso l’ultimo luogo di confine del nostro breve viaggio, un luogo davvero liminare in cui, pero’ per quegli assurdi cammini del destino si è fatta la storia e che ora sta per vedere rimossi i segni di quelle vicende drammatiche che avrebbero cambiato per anni la vita del popolo cecoslovacco.
Il suo nome è Cierna nad Tisou unico scalo ferroviario in terra slovacca verso l’Ucraina, ma ne parliamo nella terza e ultima puntata.