“Tardor (autunno)” ambientato nella Maiorca dei primi anni ’90 fa parte dell’Antologia dei racconti selezionati per il premio “Scrivendo” 2019 a cura dell’editrice Kubera. Una delicata storia sulla scoperta dell’amore da parte di tre adolescenti Giner, Nuria e Aisha, sullo sfondo della meravigliosa Serra de Tramuntana. A fare da colonna sonora un nuovo sound che in quegli anni chiamavamo Grunge ora Seattle Sound. Con dedica a Chris e Chester che spero dall’alto dei cieli possano benedire questa piccola storia d’amore, di musica e amicizia.
Per i Kindle la lettura della raccolta è gratis (vedi qui).
Fatemi sapere se vi è piaciuto questo omaggio a un’isola che rimarrà sempre nel bene e nel male nel mio cuore. Buona lettura!
A Chris e Chester
spero siate nella luce
e possiate benedire
questo piccolo lavoro
Giner… mentre è su uno scoglio e guarda il mare avvolto nell’asciugamano dopo un tuffo…
Giner… con il suo mondo a parte… così diverso da noi a volte così lontano…
Giner… che ora si volta e mi guarda con quegli occhi meravigliosi, colmi del mare e della sua malinconia, specchio di una dolcezza unica ed indimenticabile.
Giner… che chissà, già quel giorno aveva pensato a tutto o che forse tutto ha improvvisato.
Giner… che sapeva amare anche se non era facile.
Giner… che già allora aveva capito tutto di me anche se con dolore ma aspettava che io capissi.
Giner… che era troppo maturo per i suoi anni e per noi che ancora guardavamo all’estate come la stagione del risveglio e degli amori.
Giner… che amava l’autunno… Tardor come viene chiamato dalle nostre parti… nella nostra amata lingua. Giner che amava i colori tenui, le foglie che cadono e crepitano sotto i piedi, le giornate che si accorciano e lasciano spazio a notti più lunghe.
Giner e la sua chitarra e i suoi poeti maledetti.
Era estate, quasi la fine in realtà, il mondo cambiava e senza neanche minimamente comprenderlo, saremmo cambiati anche noi.
Nessuno lo aveva capito naturalmente, nessuno tranne Giner che era oltre il nostro tempo.
Aisha è la mia migliore amica, insieme a Giner è da sempre parte del mio piccolo mondo.
Li guardo mentre fanno finta di litigare, con lei Giner ride con più facilità, con me è sempre molto cupo, fin troppo profondo.
Chi è il vero Giner?
E’ forse colpa mia? Lo metto a disagio?
Aisha ha un nome arabo, suo padre è marocchino, è bella, pelle scura, capelli ricci nero corvino, gli occhi chiari, penso che abbia dietro mezzo liceo e sembra più grande di quel che è.
Ora che la scuola è finita cosa farà la mia amica Aisha?
Cosa farò io?
E Giner? Lui vuole andare a Barcellona, all’Università, perché li si fa musica sul serio, non come a Maiorca.
Giner e la sua musica.
Tenta spesso di spiegarmela, ma io non ne riesco a comprendere la profondità, la differenza.
Lui e Aisha mi prendono in giro, dicono che non posso continuare ad ascoltare cantanti come Josè Feliciano.
Poi però Aisha mi ha confessato che neanche lei riesce bene a comprendere molto la bellezza di questa nuova musica, ma non glielo dirà mai, perché è fatta così, solare, bella, ma soprattutto sensibile, incapace di fare del male.
Incapace di farti del male.
E io sono Nuria, di padre e madre maiorchini, di generazione di maiorchini. Sono una ragazza che gli altri definiscono timida anche se qualche ragazzo mi ha considerata bella tanto da spingersi fino a baciarmi durante qualche festa.
Cosa sogna Nuria?
Vorrei restare qui dove tutto è chiaro, semplice, lineare, dare una mano ai miei sulla terra a picco sul mare, qualche festa d’estate, un vero amore se esiste, cose normali, magari banali, non so se voglio davvero continuare a studiare.
Banyalbufar è il mio mondo, il mare che vedo dalla finestra della mia stanza è il mio amore, miei sono gli aranci che tocco al mattino prima di fare colazione. Mio è quell’olivo che è cresciuto con me.
Sono davvero pronta a lasciare tutto questo?
Aisha e Giner forse andranno via, sarò capace di seguirli?
Stasera ha fatto buio presto, l’estate sta finendo, tra poco sarà l’autunno… Tardor, Reverera, Primavera d’hinvern, Santmiquelada, quale lingua possiede nomi così belli per dire autunno?
Stasera andiamo a vedere un concerto.
Giner ci tiene così tanto, ha convinto Aisha a farsi prestare la macchina dal padre, andremo a Palma.
Andremo in un nuovo locale, il Tunnel mi sembra o La Gruta non ricordo bene.
Giner suonerà con il suo gruppo, ancora non ho capito se si sono dati un nome o si presenteranno ancora con quel nome provvisorio… MONOS. E se il nome del gruppo di Giner è quanto mai inusuale, aspettate di sentire gli altri più famosi: Los Fresones Rebeldes ad esempio o El Fantastico Hombre Bala con il famoso album Carne de Ataud, per non parlare di un gruppo il cui nome è tutto un programma… gli Sperm.
Stasera comunque finalmente sentiremo un po’ di questa nuova musica, la chiamano Grunge. Già il nome non mi sembra promettente, sembra una specie di grugnito.
Aisha come al solito non sta più nella pelle, per lei ogni occasione è buona per fare festa, anche quando non è invitata.
E’ una forza della natura, alcune volte penso che lei e Giner siano destinati a stare insieme. Solo con lei Giner ride.
Ma so che non potrà essere così, almeno per ora, perché so per chi batte il cuore di Giner, e questo spesso mi fa male, perché io non so per chi batte il mio.
Giner, stasera pensa solo a te alla tua musica, io ci sarò per te, ma non so se alla fine ti abbraccerò come tu vorresti, lo sai come sono… quella volta che mi hai baciato sotto l’olivo, il mio olivo… io sono scappata quasi fosse stato un sacrilegio. Non posso dire che il bacio non mi sia piaciuto, che non mi abbia battuto forte il cuore ma…
Aisha è convinta che stasera Giner farà la storia.
Dice che sono gli unici nell’isola a fare Grunge.
A me scappa un sorriso, i suoi occhi incontrano i miei nello specchio retrovisore e per un attimo mi sento in pace.
Arriviamo a Palma, la bella e solare capitale della nostra isola fortunata. Se pensate alla luce pensate a Palma, se pensate ai colori pensate alla città che si specchia nel mare, alla Cattedrale dove la luce gioca con l’ocra dei suoi mattoni, ai bar, ai ristoranti, al pa amb oli, al fritto maiorchino, alla birra e al vino.
Il locale dove suonerà Giner è tutto il contrario di Palma, è fumoso, buio, fa caldo, troppo, ragazzi vestiti con camicie che sembrano tovaglie chiacchierano tra una birra e l’altra.
Mi sento in imbarazzo e fuori posto, mi capita quasi sempre alle feste, meno male che la mano di Aisha mi tiene e mi trasporta in mezzo a questo rumore.
Mi sento protetta, lei mi guarda e sorride, non essere tesa, mi dice, ma io non sono tesa, sono semplicemente fuori posto.
Poi tre ragazzi salgono sul palco e la musica inizia, con Giner alla chitarra che scuote la testa e fa volare sul volto i suoi capelli scuri, la sua voce cupa e straziante, quello che cantano, mi dicono, è un successo di questo nuovo gruppo… i Nirvana.
Mi lascio portare dalla musica e guardo Giner, potrebbe sembrare che io sia rapita, in realtà lo guardo e penso, resta qui, con noi, sull’isola, nessuno ti farà del male.
Poi chiudo gli occhi e seguo il ritmo cupo e quasi mi sembra di essere in quel… Nirvana.
Apro gli occhi ed è tutto finito, il tempo di quattro canzoni.
Giner che scende dal palco con i suoi amici… qualche stretta di mano, pacche sulle spalle, arriviamo noi… Aisha lo scuote e lo bacia sulle guance.
E poi ci sono io che faccio quello che non mi sarei mai aspettato di fare, lo abbraccio forte fino a sentire il suo cuore battere. Giner ha lo sguardo di chi è stupito, contento, confuso, faccio fatica a staccarmi da lui. E’ successo qualcosa, si è creato un legame, un legame indefinibile.
Qualcosa di imprescindibile.
Sul finire di quell’estate calda e piena di colore, ci fu una novità che portò una sorta di turbamento nella quieta quotidianità della nostra Finca.
Per la prima volta nella storia, una parte della nostra proprietà venne affittata ad una famiglia di tedeschi.
Mio padre era stato chiaro: “Un’entrata extra non sarebbe male, per investire su nuove tecnologie… per Nuria se volesse andare via”.
Quando pronunciò quelle parole: “ se volesse andare via…” mi trovai in forte difficoltà.
Mio padre, dunque, aveva dei progetti su di me, progetti di cui non mi aveva mai parlato e forse mai ne avrebbe parlato.
Ma di sicuro non erano i miei, il mio ultimo pensiero era lasciare l’isola, dove avevo tutto.
Comunque sia, in un giorno di fine Agosto, in quelle giornate che sanno già di Settembre e in cui l’aria è frizzante e ti invita a chiudere gli occhi e gustare il sale che riempie l’aria, arrivarono i tedeschi.
Li vidi arrivare, li accolsi, consegnai loro le chiavi della piccola casetta in pietra che si trovava distante pochi decine di metri da casa nostra e osservai Karl come si osserva qualcuno che si sente completamente estraneo alla vita quotidiana.
Qualche giorno dopo, però, l’avrei guardato con occhi decisamente diversi.
Salutati i tedeschi scesi a piedi verso la Cala Banyalbufar e mi fermai a guardare il mare, mosso e gonfio.
Non aspettavo nessuno, ma mi accorsi ben presto di non essere sola.
Mi voltai verso le rocce ma non riuscii a capire chi fosse sceso fino alla cala e ancora adesso non lo so.
Ma fu come un presagio, una sensazione di freddo improvviso nelle ossa e la necessità di un abbraccio.
Poco dopo Aisha mi raggiunse e mi avvolse in un lungo e caldo abbraccio quasi come se sapesse, quasi come se avesse previsto il freddo del presentimento.
Un mattino, i primi di settembre, mio padre mi chiamò.
La presenza dell’Abuela presagiva una riunione di famiglia.
Da quando mia madre non c’era più, il ruolo della nonna all’interno del nostro tessuto familiare era divenuto sempre più rilevante. Non aveva mai tolto il lutto.
Mi sedetti sul divano, mio padre si sedette davanti a me e iniziò: “ Nuria… è settembre…”
Io sorrisi: “ Lo so papà… dopo Agosto c’è sempre Settembre e poi… Tardor…”
Mio padre scosse il capo ma divenne subito serio: “Sai cosa voglio dire…”.
Abbassai il capo: “Papà io non so se voglio andare via, potrei fare l’Università qui a Palma, e poi forse chissà e se volessi restare per sempre qui?”
“Non seguirai Giner a Barcellona? Credevo ci fosse qualcosa tra voi…”
“Papà”, rimasi sorpresa, mio padre forse vedeva oltre.
“E Aisha che farà?”
“Uhm… ancora non ha deciso… forse resta anche lei qui…”
Mio padre divenne pensieroso, poi si voltò verso la finestra, fu allora che l’Abuela parlò: “Figlia mia sei sicura che il tuo destino sia tra queste terre e questo mare?”
“Su questo non ho alcun dubbio…”
Si alzò e venne verso di me, si avvicinò quasi ad abbracciarmi e si chinò segnandomi con la croce “… che tu sia benedetta … “.
Mio padre mi venne incontro, negli occhi poche lacrime: “Mamma sarebbe orgogliosa, ma se decidi di cambiare idea… hai una vita davanti … noi passeremo figlia mia…”
Fui tentata di abbracciarlo, ma non lo feci, questa maledetta difficoltà nel trasmettere e ricevere affetto.
Come a stemperare la tensione mi disse: “ C’è quel ragazzo… Karl, sta sempre solo penso che abbia bisogno di un amico… magari tu Giner e Aisha lo potreste portare con voi”.
Annuii, mi voltai verso la casetta di pietra e lo vidi intento a lanciare sassi contro una staccionata.
Fu in quel momento che mi accorsi di quanto fosse bello Karl.
In quel pomeriggio fin troppo caldo di Settembre, portai Karl a fare un giro in alcuni paesini della Tramuntana.
Il vento ci scompigliava i capelli, mentre, percorrendo la strada panoramica, facevo conoscere a Karl alcuni dei paesi più belli dell’isola: Deià dove visse il grande scrittore Graves, Soller e il suo porto, e soprattutto il piccolo paese di Fornalutx, che, quasi invisibile incastonato in una valle, racchiuso tra due crinali di monti, produce le migliori arance di Maiorca.
Fu proprio mentre sorseggiavamo un buonissimo succo d’arancia che mi sentii per la prima volta nella vita sollevata, leggera, come se di fronte a quel biondino tedesco le mie difese e paranoie fossero crollate.
Forse dipendeva anche dal fatto che ero certa che la sua presenza nella mia vita sarebbe stata breve e quindi potevo correre il rischio di aprirmi con lui, essere leggera, e chissà, magari provare qualcosa che non fosse bloccato da mille retro pensieri.
Con questo stato d’animo leggero, nel pomeriggio incontrammo Aisha e Giner, e appena li vidi capii che questa leggerezza era destinata a svanire.
Per un qualche motivo a me poco comprensibile allora, sembravano entrambi “gelosi” di questa mia “apertura” a Karl, del fatto che mi presentassi a loro così “leggera”, simpatica, allegra.
Più di tutto mi sorprese il distacco di Aisha, mentre, diciamo, che da Giner me lo aspettavo, dati i suoi indefiniti sentimenti nei miei confronti.
Ci fermammo a bere qualcosa nella piazzetta di Valldemossa, il paese nella cui Certosa avevano vissuto un tempo breve Chopin e George Sand, l’atmosfera era strana, Aisha e Giner sembravano quasi sospesi in attesa di capire cosa ci fosse dietro quel cambiamento.
Col passare delle ore però, l’atmosfera si rilassò e Karl e Giner finirono per parlare di musica e cinema, Aisha invece continuò ad evitarmi.
Ad un certo punto della serata le passai le braccia attorno al collo come avevo fatto centinaia di volte e cercai di stringerla a me, per farle capire che nulla era cambiato. Ottenni però da lei solo questa risposta: “Sono felice di vederti finalmente felice…”.
Mi allontanai, sentivo il suo distacco, la sua resistenza.
Giner venne verso di noi, ci guardò e con le mani spalancate disse: “Chicas que tal?”.
Aisha si alzò e si allontanò dal gruppo: “nada… todo bien…. Tambien todo esto pasarà…”
Tra mugugni e qualche risata terminammo la serata guardando il tramonto a Cala Estellencs, Karl furtivamente mi sfiorò la mano più volte, lasciai fare.
Non so se Aisha e Giner se ne accorsero, ma per la prima vota notai che avevano trovato qualcos’altro che li legava sempre di più, e in qualche modo anche se in modo sbagliato, ero io.
La sera, prima di rincasare, accompagnai Karl alla casetta di pietra, e proprio sotto il mio olivo, come se quel luogo esercitasse un’attrazione sensuale, Karl mi baciò, e questa volta non mi ritrassi, anzi risposi al bacio con passione e trasporto, lasciandomi per la prima volta, andare.
Mentre tornavo verso casa mi resi conto che questo Tardor non sarebbe stato come tutti i precedenti e che avrebbe segnato il passaggio dall’età dell’innocenza all’età del turbamento e della separazione.
L’età in cui tutto sembrava chiaro, l’età delle certezze, moriva quella sera, sotto l’olivo, e andava oltre ciò che sarebbe davvero successo tra me e Karl.
L’equilibrio era spezzato, ma il tempo avrebbe portato ad un nuovo equilibrio, non per questo meno perfetto.
Crollai sul letto, sulle labbra il sapore di Karl, lo sognai, sognai le sue mani su di me, il suo corpo muscoloso e scoprii di avere una voglia indescrivibile di averlo accanto.
Quel che accadde nei giorni successivi, somigliò ad una sorta di pace armata, un tentativo almeno apparente di lasciare stare, perché tanto di lì a poco Karl sarebbe andato via e tutto sarebbe ritornato a posto, o quasi.
Giner aveva deciso comunque di seguire la musica e sarebbe andato a Barcellona, ma questo potevo solo supporlo, perché da qualche giorno non parlavamo più molto.
Una sera, poi, mentre tornavamo da una gita, vidi Aisha e Giner semi nascosti dietro un oliveto, parlavano tenendosi teneramente la mano.
Aisha aveva il capo chino sul suo petto e lui le carezzava i capelli, ad un certo punto la portò verso di se e l’abbracciò a lungo.
Cosa stava succedendo tra loro? Era sbocciato l’amore, oppure era altro, e poi, perché mi faceva male?
Io avevo Karl e lui aveva me, mi aveva avuta anche fisicamente e completamente qualche sera prima. La mia prima volta, a Cala Estellencs alla luce delle stelle nascenti, tra rocce secolari. Ed era stato bellissimo.
E allora perché mi faceva male? Era perché li stavo perdendo?
I giorni passavano veloci, Aisha e Giner proposero di organizzare un falò di inizio autunno nella spiaggia simbolo di Maiorca, la sabbiosa e caraibica Es Trenc.
La cosa mi sorprese, erano stranamente rilassati o almeno così facevano intendere.
Preparammo tutto e partimmo con il todo terreno verde di papà, lasciammo la macchina a Ses Salines e poi ci incamminammo verso la spiaggia.
Non eravamo stati gli unici ad avere avuto l’idea del falò e piccoli fuochi s’intravedevano sulla lunga e bianca striscia di sabbia.
Ci sistemammo, accendemmo il fuoco e Giner iniziò a suonare la sua musica, ma non solo. Lo osservai mentre suonava deciso, mentre io cercavo la mano di Karl e Aisha guardava il fuoco persa in chissà quali lontani pensieri.
Poi d’improvviso proprio Aisha sembrò quasi ridestarsi e sorridendo maliziosamente propose: “Ragazzi… probabilmente è l’ultima notte del veranito e chissà quando staremo ancora così insieme… perché non la rendiamo un po’ folle?… dai, facciamo il bagno nudi…”.
Tutti ridemmo imbarazzati all’idea di Aisha, ma dai suoi gesti fu chiaro che era decisa a farlo, si tolse la maglietta, poi lo short, poi fu la volta del bikini, i suoi seni piccoli e perfetti risaltarono alla luce del falò, con i suoi capezzoli eretti.
Poi con la grazia di una modella, si sfilò anche la parte di sotto e ci sfidò ridendo indicandoci uno per uno.
Karl fu il primo a seguirla, io e Giner ridendo sempre più imbarazzati ci mettemmo molto di più.
Giner mi guardò mentre mi spogliavo con timore e vergogna, era la prima volta che mi vedeva completamente nuda e anche per me era lo stesso. Ridemmo imbarazzati, poi mano nella mano, ridendo e urlando ci tuffammo nel mare.
Fu un momento magico e divertente allo stesso tempo, le piccole onde ci sballottavano l’uno contro l’altro, portando alla condivisione di tocchi e sfioramenti più o meno proibiti.
Ad un certo punto, finimmo per separarci e li accadde qualcosa che avrebbe reso ancora più strano e intrigante quell’inizio di Tardor, qualcosa di incomprensibile, d’imprevedibile.
Terminammo la serata restando nudi avvinghiati l’uno all’altro, coperti solo dal telo che avevamo portato per la notte. Non accadde nulla di sessualmente rilevante, restammo semplicemente uniti in un abbraccio sensuale e tenero.
La luce del mattino ci colse impreparati, fui la prima ad alzarmi e a cercare conforto nel mare.
Attesi che si svegliassero gli altri, l’atmosfera era quella della fine di un tempo piccolo che sta per divenire terribilmente grande.
Nessuno di noi avrebbe potuto, allora, presagire cosa sarebbe accaduto a tutti noi di lì a poco.
C’era un gioco di sguardi incrociati che rendeva chiaro e confondeva al tempo stesso la realtà.
Giner si sedette sulla riva e iniziò a suonare, mi avvicinai per la prima volta a lui dopo alcune settimane, parlammo e gli chiesi: “Allora sei davvero deciso ad andare via?”.
Giner smise di arpeggiare la chitarra e guardò verso il mare: “Si… cosa c’è per me qui? Non fraintendermi Nuria, tu per me sei importante e sempre lo sarai, lo sai… Aisha è parte della mia vita da sempre… ma le strade stanno per dividersi, lo senti anche tu vero?”
Annuii: “Ma ti dimenticherai di noi?”.
Giner si voltò verso di me, gli occhi umidi: “ E come potrei farlo, abbiamo vissuto in paradiso e voi due siete i miei angeli…”.
Posai il capo sulla sua spalla e chiusi gli occhi, com’era forte e debole il nostro Giner.
Il primo ad andar via fu Karl, com’era prevedibile. Ci salutammo tutti alla casa di pietra.
Aisha e Giner lo salutarono con affetto, quella notte in spiaggia aveva smussato gli animi, lo accompagnai però da sola all’Aeroporto, dovevo dirgli Addio.
“ E così vai via… non ci vedremo più ?”
Karl sorrise: “Chissà la vita è piena di sorprese ma non so… quel che è successo qui è stato unico… imprevedibile e poi come si dice… quel che succede a Maiorca rimane a Maiorca… “ .
Ridemmo all’unisono lo baciai per l’ultima volta, Karl fece per andar via, poi ritornò sui suoi passi: “ E poi sono certo che tu sai già con chi vivrai la tua vita… segui il tuo cuore… lasciati andare come hai fatto con me”.
Un ultimo bacio e l’addio.
Sola, con il suo sapore ancora sulle labbra pensai: “Seguire il mio cuore ? Davvero dovrei seguirlo? E cosa dice veramente? Ho appena lasciato il ragazzo che ho amato per un mese e il mio cuore è già pronto nuovamente ad amare? O… lo è pronto da sempre? … Che casino…”.
Presi la macchina e iniziai a risalire verso Banyalbufar, mentre mi passava tutto davanti come un film, ogni scena dell’ultimo mese e ad un certo punto fui costretta a fermare la macchina e a scendere, il fiato corto, il cuore a mille.
Quand’è che avevo sentito veramente le famose farfalle nello stomaco? Si con Karl era stato intenso, sensuale, unico ma…
Mi mancò il fiato, quasi svenni e finalmente capii, ma forse da tempo già sapevo ma non potevo ammetterlo.
Era tempo di altri addii e di legami imprevedibili.
Verso la fine di Ottobre Giner iniziò a preparare il suo viaggio.
Decise di partire in nave perché aveva con se tutta la sua strumentazione.
In una fresca serata autunnale, i MONOS tennero l’ultimo emotivo concerto in un Club di Palma, rividi di nuovo Aisha e Giner nelle braccia l’uno dell’altra, lui quasi piangeva sulla sua spalla, provai una fitta all’altezza dello stomaco, negli ultimi tempi ero tornata a chiudermi nelle cose d’amore, cercando di ammettere ciò che mi era difficile accettare.
Comunque sia i giorni passarono tra turbamenti e attese, alla fine accompagnammo Giner al porto, lo salutammo piangendo, lo abbracciammo, gli sussurrai di seguire la sua idea la sua musica.
Aisha lo abbracciò a lungo: “Torna presto fratello mio… non lasciare questo luogo a lungo privo della tua presenza…”
Fratello mio disse, e il mio cuore quasi rallentò e poi riprese, ecco che apparve un primo accenno di luce nella confusione dei giorni precedenti.
Rimanemmo sole io e Aisha, il viaggio di ritorno fu silenzioso e lungo, entrambe perse nei pensieri più reconditi.
Accompagnai Aisha a casa, mi salutò appena, i suoi occhi erano annegati dalle emozioni.
La vidi andare via, e allora finalmente capii che tutto era chiaro e in un certo qual modo anche doloroso.
La luna si specchiava nel mare, giochi d’acqua tra noi, un’onda e per pochi minuti restiamo divisi.
Quasi collidiamo, poi ci alziamo ridendo, ho il suo viso a pochi centimetri dal mio, la sua bocca che si apre i suoi occhi davvero poco sorpresi.
I suoi occhi chiari, i suoi capelli corvini, il cuore quasi si ferma, le lingue si incastrano vorticosamente, in un attimo la mia mano finisce sul suo piccolo seno, sento le sue mani cercare il mio sesso, muoversi per pochi attimi infiniti dentro di me.
Porto indietro il capo, un gemito, poi ancora un’onda ci separa e ci ricongiunge con gli altri e… non è mai successo.
Aisha, Aisha, Aisha….
Due anni dopo
Con la zappetta cerco di eliminare la gramigna stando attenta a non rovinare i piccoli germogli, cerco, così, di tenere separato il bene dal male.
Le cose sembrano andare bene adesso, c’è voluto un po’ ma alla fine mio padre anche grazie all’Abuela ha accettato di avere una figlia in più.
L’Abuela purtroppo se n’è andata via lasciando un vuoto difficilmente colmabile.
Ma ora c’è lei, che sale sulla collina trafelata, con i riccioli al vento.
Aisha, sale in modo forsennato, come in preda ad una possessione.
“Mi amor…” la chiamo salutandola.
Alza gli occhi verso di me, mentre mi raggiunge ansimante, sono pieni di lacrime e non c’è bisogno di parole: “ No Giner no…”.
E il mondo crolla di nuovo.
Altri anni dopo
Non mi sposto molto dall’isola, questo non è cambiato nel tempo, nonostante molte cose siano davvero state stravolte.
Io e Aisha adesso abbiamo una fattoria, una bimba che ha i capelli corvini della mamma e Aisha è sempre più presa dal suo ruolo di genitore. Finalmente tutto sembra aver raggiunto un suo equilibrio pur nell’alternarsi di gioie e dolori.
Il giorno in cui Giner è andato via ed è stato sepolto nel cimitero degli artisti di Barcellona, io non c’ero, non ero riuscita a superare quel braccio di mare che separa la mia isola dalla capitale catalana.
Non potevo accettare che avesse deciso di fare quella scelta come aveva fatto quel suo tanto amato cantante.
Per lungo tempo ho quasi odiato Giner, e soprattutto il Grunge o Seattle sound com’è conosciuto adesso.
Ma negli anni i testi di questi poeti mi hanno sorpresa e colpita, ed era chiaro che prima o poi sarei riuscita a trovare il coraggio per andarlo a trovare.
E così complice una fiera a Barcellona ho preso uno dei CD che Giner amava e sono andato alla ricerca del suo memoriale.
E ora sola davanti a quel che resta di lui, nella testa canto e ricanto un verso di una meravigliosa canzone: “Come una pietra ti aspetterò, e io attendo il giorno che ci sarà di nuovo concesso di vederci”.
Squilla il telefono, sorrido, è la mia Aisha.
“Mi amor, proprio non riuscirai ad immaginare dove sono adesso…”
Sento la sua voce turbata, spezzata: “dicono che sia morto Chris Cornell …”
Attacco di colpo e di nuovo nella mente il ritornello della canzone che ora sussurro al tuo cenere muto: “In my eyes…”.
E ad un tratto tutto diventa liquido e avrei bisogno di un abbraccio.
E le domande vanno e vengono, si susseguono nella mia mente e capisco che davvero quello di cui abbiamo bisogno è amore e solo amore.
E allora perché tutto questo buio, perché Giner? Cosa ti mancava empatico fratello mio? Non avevi anche tu una luce? Come da anni mi ripeto dentro di me con paura di darmi la risposta, sono stata io a spingerti nel buio?
E tu Chris ? Cosa mancava ora alla tua vita?
Il cellulare suona ancora, è Aisha nuovamente, prendo il fiato: “Hola mi amor… estoy de vuelta… esperame siempre… mea luz…”.