Vi è mai capitato di intervistare un eroe?

Vi è mai capitato di poter incontrare e addirittura intervistare un protagonista della storia mondiale? Un uomo che ha materialmente “fatto la storia”.

A me è capitato e sono onorato di aver conosciuto il Generale Jovan Divjak, il serbo che difese Sarajevo, la sua Sarajevo che ha narrato nel libro “Sarajevo, mon amour“.

Jovan ci ha lasciato l’8 aprile e questa intervista realizzata nel novembre 2018 è il mio personale omaggio. Oltre al testo trovate anche la registrazione originale dell’intervista.

Buon viaggio Generale!

Vi è mai capitato di intervistare un eroe?
Di scambiare idee e vita con un un uomo che per una parte di mondo è considerato come il salvatore, l’uomo che è riuscito a fermare con pochi mezzi un esercito che aveva la fortuna di poter utilizzare i mezzi e le armi di quello che era uno dei più grandi eserciti europei, l’Armata Nazionale Jugoslava?

Io ho avuto questa fortuna e mi piace raccontarvi il mio incontro con il generale Jovan Divjak, il serbo difensore di Sarajevo, ma non solo.
L’uomo per cui Sarajevo era tutto al di là della nazionalità di chi l’abitasse.
L’incontro con Divjak è avvenuto circa un mese fa (il 13 novembre 2018 per la precisione) nella sede dell’Associazione da lui diretta, OGBH (Obrazovanje Gradi Bosnu i Hercegovinu/Education Builds Bosnia anad Herzogovina).

Ma prima di questo incontro vis a vis, qualche anno prima ci fu una incredibile e inaspettata telefonata.
Ero stato a Sarajevo, solo per un giorno, e avevo deciso di tentare la sorte cercando di incontrare Divjak. Così mi feci portare da un taxi a Grbavica nella sede dell’Associazione, ma per motivi lavorativi il Generale Divjak non era in ufficio.
Ci rimasi male, naturalmente, ero dispiaciuto di non averlo potuto incontrare, anche se ero contento di aver potuto visitare i locali dell’Associazione e parlare con chi vi lavorava.
Lasciai i miei contatti, ma onestamente non confidavo in un repentino contatto.
Tornato in Italia smisi di pensare a Divjak preso com’ero nel tentativo di salvare il mio dottorato in etnologia dal fallimento, ma una mattina mentre passeggiavo nei viali dell’Università, il mio telefono squillò. Il numero era estero, risposi, e rimasi senza parole, dall’altro lato del filo c’era Jovan Divjak che mi parlava in inglese con l’aiuto di una sua collaboratrice e mi ringraziava della visita e si diceva felice d’incontrarmi in un’altra occasione.
Pochi minuti, ma la voce di quest’uomo fiero e vero, mi rimasero nel cuore.

L’occasione per incontarci non si palesò subito, per vari motivi fu impossibile per me raggiungere Sarajevo e nel frattempo Divjak venne arrestato a Vienna su mandato dei tribunali serbi, con l’accusa di crimini di Guerra. Come sempre accade nel dopo guerra chi è un eroe per una delle parti in causa è quasi sempre considerato un criminale dal “nemico”.
Poi qualche mese dopo iniziai a programmare il mio ritorno a Sarajevo, l’occasione il Festival Pravo Liujdski, e scrissi una nuova mail all’Associazione. Mi risposero in breve termine, Jovan Divjak aveva piacere d’incontrarmi, finalmente avevo un appuntamento.

13 novembre 2018

Per la seconda volta risalgo la collina di Grbavica, stavolta con un auto a noleggio. Entro nella sede dell’Associazione, Divjak è seduto alla sua scrivania, mi invita a sedermi e mi porge una copia in italiano del libro che racconta la sua storia “Sarajevo, mon amour” edito da Infinito edizioni.
Come quella volta al telefono, iniziano i problemi linguistici, lui parla solo serbo e francese io italiano e inglese, cosi’ abbiamo bisogno dell’intermediazione di una sua collaboratrice per intenderci.
Probabilmente si tratta della stessa ragazza che qualche anno prima fece da traduttrice in quella breve e soprendente telefonata che lo stesso Divjak mi fece.

L’intervista inizia con una certa diffidenza da parte di Divjak, forse anche per via di questa barriera linguistica.
Davanti a me ho un uomo sorprendente, com’e’ soprendente la sua storia, ma anche un uomo che sembra, almeno nel mio caso voler saggiare la mia reale conoscenza della storia e della realtà politico-sociale recente di Sarajevo e della Bosnia.

Un po’ intimidito inizio a chiedergli come vede il futuro del suo paese.
La mia domanda deve sembragli davvero troppo fumosa perche’ mi chiede di formulare delle domande più precise.
Allora inizio a chiedergli dell’attivita’ della sua associazione e dell’importanza del lavoro che svolge nell’ambito educativo.

Quanto e’ importante per i bambini, i ragazzi che non hanno vissuto la guerra civile ma solo il periodo postbellico conoscere quello che e’ accaduto, e quale il futuro del paese? In Italia il pease e’ percepito come diviso ma e’ davvero cosi’? Qualcosa sulla sua storia, qual’e’ il suo feeling con Sarajevo adesso?

Per poter rispondere alle domande, mi chiede quanto conosco veramente sull’assedio di Sarajevo e sulla storia della guerra civile. Gli dico che ho letto molto sull’argomento ma che chiaramente ci sono degli aspetti che ancora non mi sono chiari.
La ragazza che ci aiuta nella traduzione, approfitta di alcune pause dovute ad alcune telefonate che riceve il Generale per dire la sua su alcuni argomenti, il suo punto di vista è interessante perchè spesso non coincide in tutto con quello del suo mentore.
Riguardo alla situazione del paese, dice che non e’ ottimista, molti giovani o sono fuori dalla politica o vittime della politica stessa, e dei partiti nazionalisti. L’eccessiva divisione politica e amministrativa non aiuta, e il sistema di nation building non è stato ancora completato.
Il discorso sulla divisione amministrativa della Federazione diviene centrale, e mi interessa conoscere l’opinione di Divjak in materia.

Così risponde il Generale: “La percezione che si ha in Italia della Bosnia e della sua divisione interna e’ reale perche’ abbiamo purtroppo tre partiti nazionalisti che hanno differenti strategie e visioni per il paese: i bosgnacchi premono per l’unificazione, i serbi di Bosnia vogliono una Republika Sprska indipendente o unita alla Serbia, mentre i partiti nazionalisti croati premono per il riconsocimento della Terza Entità, l’Herceg Bosna ora parte integrante della Federazione di Bosnia ed Erzegovina.
E’ interessante la situazione in Posavina dove vive una rilevante minoranza cattolica che non ha quasi tutela e rappresentanza. Marx diceva che la religione è l’oppio dei popoli, e ne sono sicuro, l’educazione però puo’ fare molto. Il problema è che ognuno riscrive la storia a suo beneficio.
Nei libri di storia della Repusblika Sprska, ad esempio, viene raccontato ai ragazzi che la guerra e’ scoppiata perche’ i serbi di Bosnia si sono dovuti difendere dall’aggressione portata dai musulmani, e oltre a non riconoscere il genocidio di Srebrenica, insegnano come a Srebrenica in realtà ci fu un aggressione nei confronti dei serbi
”.

Gli parlo di un libro letto di recente che propone una ricostruzione “revisionista” di quanto avvenuto a Srebrenica (Alexander Dorin- Zoran Jovanovic, Srebrenica come sono andate veramente le cose, Zambon editrice), che in qualche modo sposa la teoria storica insegnata nelle scuole della Republika Sprska.

Divjak: La Corte Internazionale dell’Aja ha accertato che a Srebrenica c’è stato un genocidio… questo è un dato di fatto. Nella Federazione di Bosnia ed Erzegovina, nei libri di storia, i bambini leggono che l’ aggressione e il genocidio sono stati commessi dalle armate della Repubblica Serba di Bosnia ma si tace sui crimini commessi dalle armate bosniache. Nella nostra Costituzione c’è un’articolo che prevede la facoltà delle popolazioni sfollate dai propri paesi di ritornarvi, ma solo il 2 per cento della popolazione è ritornata, come ad esempio a Prijedor. E’ uno dei motivi per cui ancora la Bosnia e Erzegovina è “commissariata”. Se non si applica quanto previsto dalla costituzione, l’Alto rappresentante non lascerà mai il paese. La gestione dell’ufficio dell’Alto Rapresentante è una grossa spesa che si potrebbe evitare. Ma il processo di nation building è ancora ampiamente incompleto, e probabilmente sarà impossibile completarlo se si pensa che solo il 50 per cento dei bosniaci riconosce Sarajevo come capitale. Uno dei presidenti della presidenza tripartita, Ivanic, serbo, dopo il lavoro va a vivere a East Sarajevo e ha pubbiclamente detto che ama piu’ Belgrado che Sarajevo, e invita i giovani a minimizzare il ruolo di Sarajevo. Il problema maggiore dopo la guerra e’ il rimpallo delle responsabilita’, tu sei vittima e io carnefice. La sola via per uscirne e’ divenire membro della UE.
Ma le divisioni non lo consentono (la Bosnia e’ l’unico paese che non ha fatto domanda d’adesione, questo nel 2018), i serbi sono legati alla Russia e non vogliono l’ingresso in UE, mentre e’ da rilevare come influiscano anche in maniera negativa gli interessi arabi su Sarajevo
”.

Parliamo del libro di Dzeva Avdic e di come e’ difficile parlare di Srebrenica, anche semplicemente visitarla. Parlo della mia visita al Memoriale di Potocari e di come non mi sono sentito a mio agio nel passeggiare nella città. Avevo, infatti, la costante sensazione di essere osservato.

Divjak: “Ci sono ben quattro associazioni che riuniscono le donne di sreberenica ma poche persone vicono ora in Srebrenica, la maggior parte vive a Tuzla e Sarajevo, e alcuni hanno avuto aiuti per non ritornare. Quanto accaduto a Srebrenica deve essere visto come un “processo”, bisogna guardare al complesso della progressione degli eventi. Non un caso isolato come spesso viene presentato. In questo modo si comprende quanto accaduto nell’area dal 1992 al 1995”.

Gli dico che ho visitato il Museo di Srebrenica a Sarajevo e che l’ho trovato molto completo. Il Generale mi consiglia di visitare anche l’altro museo che è vicinisso al primo il Museum against Humanity and Genocide 1992-1995 (e che poi ho effettivamente visitato) perche’ mostra testimonianze e ricostruzioni di quasi tutte le stragi avvenute in Bosnia e non solo Srebrenica. Può essere utile a far comprendere la complessità di quanto avvenuto nel paese.

Chiedo alla ragazza che ci aiuta nella traduzione quali sono le relazioni tra Est Sarajevo e Sarajevo, e se davvero possano essere considerate due città differenti. “Finchè c’é tanta gente che lavora a Sarajevo e poi ritorna a Lukavica ma non si integra, si può davvero di parlare di due città separate. Sono davvero due posti differenti la gente e’ differente”. Parole molto forti.

Divjak: (su Sarajevo) “Vengono organizzati molti avvenimenti internazionali come ad esempio il Pravo Lijudski (Il festival del cinema sui Diritti Umani), ora è in programmazione anche il King Lear, c’è un Jazz Festival, molto viene fatto per la cultura. La cerimonia di apertuta di Pravo Lijudski e’ stata un successo, la sala era piena. La cultura in perifieria pero’ non esiste. E dove non c’e’ cultura li vive il nazionalismo, come accade nei piccoli villaggi. C’è un nuovo film (bellissimo n.d.r.) di Denis Tanovic presentato al Festival di Berlino “Men don’t cry” che narra di un gruppo di uomini di differenti nzionalità che fanno una sorta di psicoterapia per superare le loro divisioni. Un film che rappresenta in modo efficace le divisioni che ancora sono vive nel paese. Il film è stato girato a Sarajevo. Un fim da vedere per comprendere la Bosnia di oggi.
Ci sono molte eccellenze in Bosnia tra i giovani. Ad esempio in ambito matematico, un ragazzo ha vinto un premio internazionale, ma lo stato non ha supportato il ragazzo
”.

Mi chiede se ho visto “Venuto al mondo”, mi dice sorridendo che interpretare il ruolo del professore ebreo è stata un’esperienza interessante. Parliamo delle differenze tra il libro e il film e della serie Tv sul libro che ha molti contenuti rispetto al film.

L’ intervista prosegue in pieno relax e finiamo per parlare di calcio, dell’Italia che si gioca la qualificazione (se non ricordo male ai Mondiali) “probabilmente vinceremo… non vincere sarebbe una tragedia”. Poi mi chiede di Dzeko e Pijanic.

Ci salutiamo con l’augurio di rivederci presto magari a Bergamo per una conferenza.
Purtroppo le cose della vita non ci hanno concesso un nuovo incontro e rimarrà sempre il rammarico di non aver potuto condividere sensazioni ed emozioni.


Buon viaggio Generale.


Intervista a jovan Divjak p.1


Intervista a Jovan Divjak p.2